I legittimati all’impugnativa di fallimento.

(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 7190/19; depositata il 13 marzo)

La Corte d’appello di Bari ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione il reclamo proposto da A.F. contro la dichiarazione di fallimento della (omissis) S.r.l. in liquidazione, emessa dal Tribunale di Bari il 14/10/2013, su richiesta del Pubblico Ministero del 17/05/2013.
2. Avverso detta sentenza D.G.P.L. , quale procuratrice generale di A.F. , ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria, cui tanto C.F. e M.S. – rispettivamente Amministratore Giudiziario e Liquidatore giudiziale della (omissis) S.r.l. in Liquidazione (nominati giusta provvedimento di autorizzazione del Tribunale per le misure di prevenzione di Bari) – quanto la Curatela del Fallimento (omissis) S.r.l. in liquidazione, hanno resistito con controricorso. I restanti intimati non hanno svolto difese. In particolare la Corte sosteneva che l’istante non fosse legittimato ad impugnare la sentenza di fallimento dato che egli, al momento della dichiarazione di fallimento, non era mai stato socio della fallita né amministratore della stessa: all’epoca del fallimento egli, infatti, ricopriva la carica di liquidatore della società.
L’istante propone ricorso in Cassazione sostenendo che la Corte del riesame avrebbe – erroneamente – trascurato che egli stesso «oltre a essere stato l’amministratore della società fino alla data di esecuzione del sequestro penale delle quote della stessa, è stato ritenuto il sostanziale titolare delle quote della stessa, giacché, in mancanza, il sequestro e la successiva confisca non avrebbero avuto alcun fondamento».

La S.C. precisa che l’art. 18 l. fall. «legittima al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento il debitore e qualunque interessato», legittimazione che spetta «iure proprio», dunque, anche all’amministratore di società di capitali. Tale legittimazione, infatti, rappresenta un mezzo impugnatorio diretto a «rimuovere gli effetti riflessi negativi», sia morali che patrimoniali, che possono derivare a seguito dalla dichiarazione di fallimento.
Di conseguenza, rimarca la Corte, non è rilevante se al momento della dichiarazione di fallimento l’istante fosse, o meno, l’amministratore, stante che lo stesso abbia subito un danno a seguito della dichiarazione medesima.
Nella specie, è pacifico che il provvedimento di sequestro dell’intero compendio aziendale e del capitale sociale è stato emesso in danno all’odierno ricorrente sebbene, in quel momento, non era l’amministratore ma il liquidatore della società. Ciò premesso, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata rinviando la causa alla Corte d’Appello.

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