Attenti a fare l’amministratore di fatto.

Molti imprenditori si nascondono spesso dietro al classico prestanome o amministratore di fatto. E’ opportuno conoscere ciò che ha elaborato la giurisprudenza in merito alla questione soprattutto nel caso di un’apertura di un fallimento. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c., assume la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore “di diritto”, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della regola di cui all’art. 40, co. 2, c.p. (cfr. Cass., sez. V, 20/05/2011, n. 39593, rv 250844; Cass., sez. V, 2/3/2011, n. 15065, Guadagnoli e altro, rv. 250094). Consolidato appare all’interno della giurisprudenza di legittimità anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare. In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall., vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Cass., sez. V, 13.4.2006, n. 19145, Binda e altro, rv. 234428).

Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, poi, si è affermato, che affinché l’amministratore di fatto di una società possa esserne ritenuto responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato (cfr. Cass., sez. I, 11/01/2012, n. 5063, G.M.). Del resto, come previsto in tema  di bancarotta fraudolenta, di cui all’art. 223 legge fallimentare, il rilascio di una formale procura da parte dell’apparente amministratore della società non esclude che costui sia un “uomo di paglia” e che il vero amministratore sia l’apparente procuratore, ne1 esclude il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta con l’amministratore.(cfr. Cass., sez. V, 12.2.1992, n. 5150, rv. 190060).

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