Il codice civile disciplina il falso in bilancio all’art. 2621 c.c. (False comunicazioni sociali).

«Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi».  La trasparenza, o la fiducia dei terzi nella veridicità delle rappresentazioni contenute nelle comunicazioni sociali. Si tratta di un delitto di pericolo concreto, di conseguenza non necessita il verificarsi di un danno per i creditori o i soci. Sono gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori; si tratta quindi di reato proprio Ai fini della responsabilità penale, non ci si preoccupa di rintracciare l’autore del reato sulla base della sua sola investitura formale, ma lo si fa anche sul piano funzionale, ossia sul piano dello svolgimento delle attività tipiche degli amministratori, dei direttori generali, dei sindaci, dei liquidatori e dei dirigenti preposti. La disposizione di cui all’art. 2639 c.c., infatti, opera un’estensione delle qualifiche soggettive, includendo nel novero dei soggetti attivi sia coloro che svolgono le stesse funzioni rivestite dai soggetti di volta in volta individuati dal precetto penale (anche se diversamente qualificate), sia il c.d. responsabile di fatto ossia il soggetto che, in assenza di formale investitura, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione richiamata dalla fattispecie. La prescrizione è di 6 anni in base all’art. 157 del c.p., aumentabile fino a 7 anni e 6 mesi in caso di interruzione ex art. 160 del c.p.

Lascia un commento