Il Fallimento può revocare ogni pagamento fatto alla banca.

La Prima Sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 277 del 9/1/2019 ha affermato che

  • la vigente disciplina delle rimesse bancarie prescinde dalla finalità ripristinatoria o solutoria della rimessa, in quanto modellata su di un elemento normativo di novità, costituito dalla natura consistente e durevole della rimessa stessa,
  • ai fini della revocabilità, per come disciplinata, a seguito dell’intervento del d.l. n. 35/2005, convertito in I. n. 80/2005, dall’art. 67, comma 3, lett. b) I. fall., è irrilevante che la rimessa posta in essere dal correntista fallito sia da qualificare ripristinatoria o solutoria e cioè che afferisca a conto passivo o a conto scoperto, giacché quel che rileva è unicamente la consistenza e durevolezza degli effetti estintivi dell’esposizione debitoria,
  • con la conseguenza che, in base alla disciplina attuale, è possibile che la rimessa diretta a ripianare l’esposizione debitoria del conto passivo sia revocabile (come accade nel caso, da ultimo esaminato, in cui gli effetti solutori della rimessa permangano nel tempo) e che è possibile, all’inverso, che la rimessa attuata su conto scoperto non lo sia, non comportando essa un rientro durevole, perché neutralizzata da riutilizzi dell’importo da parte del correntista stesso.
  • In tema di azione revocatoria fallimentare, l’art. 67, comma 2, lett. b), r.d. n. 267/1942 (nel testo modificato dal d.l. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, nella I. n. 80/2005), prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che la stessa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di accertare la revocabilità della rimessa stessa avendo riguardo, oltre che alla consistenza, alla durevolezza di essa: accertamento che non può essere surrogato dalla semplice quantificazione della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso, come previsto dal successivo art. 70, comma 3 (nel testo novellato dal cit. d.l. n. 35/2005 e modificato, da ultimo, dalla I. n. 169/2008), giacché quest’ultima disposizione indica solo il limite massimo dell’importo che il convenuto in revocatoria può essere tenuto a restituire.
  • In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili quando risulti che il relativo pagamento non sia stato eseguito con danaro del fallito e che il terzo, utilizzatore di somme proprie, non abbia proposto azione di rivalsa verso l’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento, né che abbia così adempiuto un’obbligazione relativa ad un debito proprio.
  •  In tema di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario effettuate da un imprenditore poi dichiarato fallito, nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scoperto di conto, il fallimento che chieda la revoca di rimesse aventi carattere solutorio in relazione al saldo infragiornaliero e non al saldo della giornata, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di atti aventi carattere solutorio e, dunque, la cronologia dei singoli movimenti, cronologia che non può essere desunta dall’ordine delle operazioni risultante dall’estratto conto ovvero dalla scheda di registrazione contabile, in quanto tale ordine non corrisponde necessariamente alla realtà e sconta i diversi momenti in cui, secondo le tipologie delle operazioni, vengono effettuate le registrazioni sul conto, sicché in mancanza di tale prova devono intendersi effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti.

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