Bancarotta fraudolenta e scissione societaria.

L’operazione di scissione consiste nella suddivisione di un unico patrimonio sociale mediante il trasferimento a più società, già esistenti (scissione per incorporazione) o di nuova costituzione (scissione in senso stretto), che possono essere anche di tipo diverso da quella che si scinde o altri enti giuridici (scissione eterogenea).

Si ha scissione totale quando una società (scissa) trasferisce tutto il suo patrimonio a più società (beneficiarie) e cessa di esistere senza che si abbia liquidazione, mentre i suoi soci ricevono azioni delle beneficiarie in base al rapporto di cambio stabilito nel progetto di scissione.

Nella scissione parziale, invece, la scissa trasferisce solo una parte del suo patrimonio a una o più beneficiarie, e continua a esistere, così che i suoi soci, oltre a conservare le loro azioni, ricevono azioni della/e beneficiaria/e, in base al rapporto di cambio.

La società scissa può, con la scissione, attuare il proprio scioglimento senza liquidazione, ovvero continuare la propria attività;

Anche nell’ambito della scissione occorre analizzare compiutamente i particolari contesti che potrebbero realizzare il trasferimento di assets patrimoniali a favore di altri soggetti giuridici (c.d. good company), mantenendo in capo alla società scissa debiti ed altri rapporti giuridici pendenti che generano solo passività (c.d. bad company).

Successivamente, a seguito dello svuotamento delle attività, la bad company preesistente potrebbe anche incorrere in una procedura concorsuale sino al suo definitivo fallimento, con conseguente grave pregiudizio ai creditori.

In siffatta ipotesi, potrebbero anche scaturire importanti profili penali, con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta.

In merito, si è espressa la suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 17163 del 17.04.2018, nella quale è stato chiarito che il reato in rassegna può applicarsi anche nei casi di scissione societaria, a seguito della quale si è creata un’ingente distrazione patrimoniale con conseguente fallimento della società scissa.

Il caso esaminato dagli ermellini rientra nel frequente fenomeno della “scissione di una società in crisi” la quale, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l’impresa, vede la separazione delle passività (il c.d. badwill), lasciato nella c.d. “bad company”, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. “new company”.

In merito, il giudice di legittimità ha posto in evidenza che nell’ambito di una scissione mediante costituzione di nuova società, l’assegnazione a quest’ultima di rilevanti risorse non costituisce di per sé un fatto distrattivo ai fini patrimoniali.

Tuttavia, a parere degli ermellini, integra il reato di bancarotta per distrazione l’operazione di scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, a favore di un’altra società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore qualora tale operazione – astrattamente lecita – sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operi la società poi fallita al momento della scissione, nonché di ulteriori operazioni poste in essere a danno della società poi fallita, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale.

Ciò premesso, nella fattispecie posta all’attenzione della suprema Corte, era emerso che nell’ambito della scissione erano stati attribuiti alla società beneficiaria tutti gli elementi attivi della società scissa, che restava priva di mezzi e di dipendenti, rimanendo gravata dell’intero passivo fino a quel momento dalla stessa accumulato, assumendo così la natura di “bad company”.

Inoltre, nel corso del giudizio erano emersi i tipici elementi che realizzano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, tenuto conto che:

i beni ceduti alla new company ed i canoni previsti dal contratto di affitto di ramo d’azienda non erano mai stati pagati, se non in minima parte;

l’assegnazione alla società beneficiaria della totalità dell’attivo della società scissa (compresi i dipendenti, i beni strumentali e i contratti) poneva quest’ultima nell’impossibilità di continuare ad operare e di pagare i debiti interamente rimasti a carico della stessa, senza che alcun vantaggio fosse individuabile per la medesima come risultato della scissione;

si era verificata una significativa contrazione del fatturato della società scissa, a cui si era aggiunto un accumulo di significativi debiti tributari.

In definitiva, l’operazione sopra illustrata era stata preordinata ad abbandonare la società scissa al fallimento, creando simmetricamente un concreto pregiudizio per i creditori della fallita, ragion per cui la suprema Corte ha confermato gli estremi per il reato di bancarotta fraudolenta.

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